Alla cassa del supermercato una coppia confronta lo scontrino: il totale non scende, nonostante qualche prodotto sia tornato a costare meno rispetto ai picchi recenti. Allo stesso tempo, nei magazzini portuali i container continuano a partire, ma con ritmi meno regolari rispetto a qualche anno fa. È questa la scena che sintetizza il senso dell’ultima Nota mensile di Istat: un’economia che avanza a passo blando, con elementi di tenuta esterna e segnali di debolezza dentro i confini nazionali.
Pil e mercato del lavoro: un quadro di stabilità apparente
Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, nel terzo trimestre 2025 il PIL dell’Italia è rimasto stabile rispetto ai tre mesi precedenti: crescita zero, uno scenario che allinea il nostro Paese alla Germania ma lo colloca dietro Francia e Spagna. Il contesto internazionale è caratterizzato da un moderato rallentamento della domanda globale e da incertezze legate a dazi e tensioni geopolitiche, fattori che comprimono le prospettive di espansione. In questo contesto la componente esterna mostra una certa resilienza: l’export tiene, mentre la domanda interna fatica a riprendere slancio, una sintesi che spiega la stagnazione del PIL.

Sul fronte occupazionale, la rilevazione segnala circa 24,2 milioni di occupati e un tasso di occupazione al 62,7%. La disoccupazione si attesta al 6,1%, leggermente sopra il mese precedente ma ancora al di sotto della media dell’area euro. Per le famiglie questo si traduce in un mercato del lavoro nel complesso stabile, ma con sacche di fragilità: il tasso di disoccupazione giovanile è tornato oltre il 20%, un elemento che pesa sui percorsi di carriera e sui consumi futuri. Un dettaglio che molti sottovalutano è la crescente differenziazione territoriale: alcune regioni mostrano dinamiche di impiego decisamente più robuste di altre.
Industria, costruzioni e servizi: un’industria a due velocità
L’industria italiana mostra uno schema a due velocità. A settembre la produzione industriale è rimbalzata del 2,8% rispetto ad agosto, recuperando la flessione del mese precedente; tuttavia, guardando all’intero trimestre, il saldo resta leggermente negativo (-0,5%). Questo andamento alternato riflette la vulnerabilità alle fluttuazioni della domanda estera e a problemi di offerta che continuano a incidere in alcuni comparti.
Nel settore dell’Edilizia la produzione registra un rallentamento: ad agosto il dato mensile segna un calo dell’1,6%, pur restando in crescita nel confronto più ampio su tre mesi. Anche i servizi segnano segnali di difficoltà: il fatturato in volume cala dello 0,8% in agosto, con il commercio all’ingrosso particolarmente sotto pressione, mentre alloggio, ristorazione e informazione-comunicazione resistono meglio. Sul fronte del commercio estero, la crescita delle esportazioni nel periodo estivo (giugno-agosto) è stata complessivamente positiva (+1,2%), mentre le importazioni mostrano una lieve debolezza.
Nei primi otto mesi dell’anno le esportazioni di beni sono aumentate del 2,6% in valore, mentre le importazioni sono cresciute del 4,1%, con flussi significativi, ad esempio, dalla Cina. L’incremento delle vendite è concentrato in pochi settori: prodotti farmaceutici (+34,8%), alimentari, bevande e metalli (+4,8%), mentre le vendite di autoveicoli segnano un calo netto (-9,3%). Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la stagionalità pronunciata in alcuni segmenti produttivi, che amplifica le oscillazioni mensili.
Prezzi e famiglie: il carrello della spesa resta sotto pressione
La buona notizia per i consumatori arriva dalla dinamica generale dei prezzi: l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) in Italia cresce del 1,3% su base annua in ottobre, un livello ben lontano dai picchi del 2022–2023 e inferiore alla media dell’area euro. L’inflazione di fondo, che esclude energia e alimentari freschi, si mantiene stabile intorno al 2%, segnale di una tensione sottostante ancora presente ma contenuta.
Tuttavia, a pesare maggiormente sui bilanci familiari è il carico del carrello della spesa. Tra ottobre 2021 e ottobre 2025 i prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 24,9%, quasi otto punti percentuali in più rispetto all’indice generale (+17,3%). All’origine di questo rincaro ci sono state prima l’impennata dei costi energetici e dei fertilizzanti, poi il progressivo recupero dei margini lungo la filiera agricola e alimentare. Rispetto al 2019 alcune categorie — pane e cereali, latte e derivati, frutta e verdura — mostrano aumenti nell’ordine del 25–30%, un dato che incide sulle scelte quotidiane delle famiglie.
Per tornare a respirare servono salari più robusti e una dinamica dei prezzi stabilmente contenuta: senza questi elementi, la ripresa dei consumi rischia di restare fragile. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è come l’aumento del costo del cibo si rifletta in modo diverso nelle aree rurali e nelle grandi aree urbane, modificando abitudini di spesa e filiere locali. In molte case la sensazione è già pratica: si riducono acquisti non essenziali, si presta attenzione alle offerte e si privilegiano marchi o formati che costano meno.
