Vedete qualcuno portarsi la lingua su un graffio appena fatto? È una scena comune: istinto, sollievo momentaneo, magari l’eco dell’abitudine. Molti pensano che la bocca sia un piccolo laboratorio disinfettante e che la saliva possa fermare un’infezione. La realtà scientifica è più sfumata: la saliva ha proprietà utili nella cavità orale, ma non è un disinfettante da usare sulle ferite aperte.
Perché la saliva non sostituisce un disinfettante
Per prima cosa, è utile definire cosa si intende per disinfettante: si tratta di un prodotto o di un procedimento in grado di distruggere o inattivare microrganismi patogeni su superfici o pelle. Per le ferite cutanee si usano antisettici specifici, come acqua ossigenata, soluzioni a base di clorexidina o iodio, disponibili nelle farmacie in Italia. La saliva invece è un fluido fisiologico prodotto dalle ghiandole salivari che assolve funzioni concrete: lubrificazione, prima tappa della digestione e protezione della cavità orale.

Ne produciamo mediamente 1–1,5 L al giorno e la sua composizione è per lo più acqua (circa 99,5%), ma contiene anche proteine, fattori di crescita, istatine ed enzimi. Queste molecole svolgono ruoli antimicrobici locali: le mucine ostacolano l’adesione batterica, la lattoferrina limita l’accesso al ferro, le lattoperossidasi generano composti che interferiscono con il metabolismo microbico e il lisozima può danneggiare la parete batterica. Un dettaglio che molti sottovalutano: queste difese funzionano bene nella bocca, ma non equivalgono alla sterilità richiesta per trattare una ferita esposta.
Per questo motivo gli studi che valutano l’effetto cicatrizzante della saliva procedono solo dopo adeguate fasi di sterilizzazione e controllo microbiologico. Senza questi passaggi, applicare saliva su una ferita è una scelta rischiosa, non una misura igienica di base.
Rischi e opportunità: cosa c’è nella saliva e cosa comporta il contatto con le ferite
La saliva è un ecosistema complesso: oltre agli elementi antimicrobici, ospita un vasto microbiota orale. Tra i generi più comuni troviamo Streptococcus, Neisseria e Prevotella, insieme a batteri come Lactobacillus, Bifidobacterium e Fusobacterium. Questi microrganismi convivono normalmente nella bocca, ma se trasferiti su una pelle lesionata possono diventare un problema. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la facilità con cui goccioline di saliva vengono disperse tossendo o parlando: è un veicolo pratico per la trasmissione di agenti infettivi.
Oltre ai batteri, nella saliva possono essere presenti virus noti, come il virus di Epstein-Barr associato alla mononucleosi. Per questo motivo il contatto diretto tra bocca e ferite espone a rischi concreti di contaminazione. Anche il comportamento degli animali domestici merita attenzione: farci leccare il viso o una ferita da un cane o un gatto può introdurre batteri diversi da quelli umani e aumentare il rischio di infezione.
Tuttavia la saliva non è priva di potenzialità. In ambito diagnostico è già impiegata come fluido diagnostico perché facile da raccogliere e ricca di proteine e biomarcatori: in diversi contesti clinici i tamponi salivari sono stati usati per rilevare infezioni respiratorie. Allo stesso tempo, le ricerche sulla capacità cicatrizzante proseguono, ma sempre con protocolli che prevedono la rimozione di contaminanti e la sterilizzazione preventiva.
Se vi fate un taglio in casa, la raccomandazione pratica rimane chiara: detergere con acqua pulita, applicare un antisettico adatto e coprire con una medicazione sterile; in caso di sanguinamento abbondante o segni di infezione, rivolgersi a un medico. È un dettaglio semplice ma utile: il gesto istintivo di leccare una ferita resta una metafora, non una soluzione medica.
