Apri l’app della banca, guardi il saldo e scopri che ci sono 5.000, 10.000 o magari 50.000 euro fermi sul conto. La prima reazione è di sollievo: «almeno questi soldi sono al sicuro». Subito dopo però arriva un altro pensiero, più silenzioso: «ma davvero è giusto lasciarli lì così, immobili?». Non sei l’unico a domandarselo; in Italia milioni di correntisti vivono questo contrasto tra bisogno di liquidità e timore di veder scemare il valore reale del denaro.
La verità tecnica è meno intuitiva di quel che sembra: il saldo che vedi non sono banconote in una cassaforte a te intestata, è una registrazione contabile. Quando depositi denaro la banca registra una passività verso di te: ti deve quei soldi. E come ogni debitore, la banca usa parte di quelle risorse per generare reddito.
Quindi dove vanno quei soldi? La banca presta a famiglie e imprese, compra titoli e finanzia operazioni di mercato. Non tutto resta in cassa: esiste una riserva obbligatoria gestita dalla banca centrale che limita quanto si può prestare, ma la parte residua viene immessa nell’economia. Un dettaglio che molti sottovalutano: la possibilità di prelevare dipende dalla gestione dei flussi quotidiani, non dal fatto che il denaro sia fisicamente lì.
Questo funzionamento spiega anche perché una corsa agli sportelli può trasformarsi in un problema reale: è la fiducia collettiva, non un meccanismo magico, a mantenere il sistema stabile. Chi conosce il meccanismo sa leggere il saldo con meno tranquillità senza panico e più consapevolezza.
Inflazione, costi nascosti e potere d’acquisto che si assottiglia
Se i soldi restano fermi sul conto, il nemico più silenzioso non è la banca: è l’inflazione. A parità di euro, la quantità di beni e servizi che puoi comprare cala nel tempo. Con un tasso medio ipotetico del 3% annuo, 5.000 euro oggi potrebbero avere un potere d’acquisto pari a circa 4.300 euro di oggi dopo cinque anni. Non è un addebito visibile, ma è una perdita reale.

Il rendimento del conto corrente raramente compensa: molti conti offrono tassi vicini allo 0%, poche offerte arrivano allo 0,5% o all’1%. Se l’inflazione è al 3% e il conto rende lo 0,5%, la perdita reale si aggira intorno al 2,5% annuo. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio questo scarto tra rendimento nominale e inflazione reale, che agisce ogni stagione senza clamore.
Ai costi della perdita di potere d’acquisto si sommano spese visibili: canoni, commissioni e l’imposta di bollo (circa 34,20 euro annui per chi supera la giacenza media di 5.000 euro). Nel tempo questi oneri pesano: piccoli importi ogni anno diventano cifre significative dopo diversi esercizi.
Il risultato pratico è chiaro: lasciare somme consistenti inattive sul conto non è una strategia neutra. Non si tratta di un rischio catastrofico, ma di una progressiva erosione del valore reale del patrimonio. Per questo conviene conoscere le alternative e calibrare quanto lasciare liquido.
Quanto tenere liquido, cosa spostare e come muoversi con prudenza
Dopo aver capito il quadro, la domanda utile è pratica: quanto denaro conviene tenere sul conto? La risposta più diffusa tra i consulenti è il cuscinetto di emergenza, ossia una somma disponibile per coprire spese essenziali per un periodo definito. La regola pratica suggerisce da 3 a 6 mesi di spese essenziali — affitto o mutuo, bollette, alimentari, assicurazioni obbligatorie — non i vizi o le vacanze.
Se le tue spese essenziali mensili sono 1.200 euro, il cuscinetto va da 3.600 a 7.200 euro. Un dettaglio operativo: non tutto il cuscinetto deve stare sul conto corrente; una parte può essere trasferita su un conto deposito con prelievo in pochi giorni per migliorare leggermente il rendimento senza perdere liquidità immediata.
Per ciò che supera il cuscinetto, il criterio base è l’orizzonte temporale. Se ti serve entro un anno, meglio strumenti a basso rischio e alta disponibilità (conto deposito, buoni fruttiferi). Tra 1 e 5 anni si possono considerare soluzioni di medio termine; oltre i 5 anni il capitale può essere investito con una tolleranza alle oscillazioni per ritorni maggiori.
Strumenti pratici per chi inizia: buoni fruttiferi garantiti dallo Stato, obbligazioni a basso rischio, o un piano di accumulo (PAC) per distribuire il rischio temporale. Un approccio concreto: non spostare tutto in una volta. Prendi il 20% del surplus, prova con un conto deposito o un PAC, valuta l’effetto e ripeti il mese successivo.
Infine, la sicurezza sulle perdite estreme è garantita dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che tutela i depositi fino a 100.000 euro per intestatario per banca. Resta però il rischio personale: pignoramenti o contestazioni fiscali non dipendono dalla soglia dei 5.000 euro ma da come si usano quei soldi. Chiudere con una piccola azione — calcolare le spese essenziali, definire il cuscinetto e muovere gradualmente il surplus — è spesso più utile di qualsiasi sicurezza apparente mostrata da un numero sullo schermo.
