In una stanza di palazzo regionale si scorrono tabelle di aliquote e si confrontano scelte già prese negli anni precedenti: non è una trattativa astratta, ma una decisione che si riflette sulle buste paga e sui bilanci locali. La questione dell’addizionale regionale all’IRPEF continua a produrre effetti concreti per chi lavora e per gli enti che devono programmare entrate e servizi nel corso dell’anno. Le norme in discussione estendono un’opzione amministrativa che permette alle regioni e alle province autonome di mantenere formule di calcolo già in uso oppure di adottare soluzioni diverse, a seconda delle necessità territoriali.
Come funziona la proroga e cosa cambia
Il disegno di legge di Bilancio 2026 propone di estendere fino all’anno d’imposta 2028 la facoltà per le Regioni e le Province autonome di applicare l’addizionale regionale all’IRPEF sulla base dei quattro scaglioni di reddito vigenti fino al 2023, ovvero prima dell’entrata in vigore della Legge n. 207/2024 che ha modificato l’art. 11, comma 1 del TUIR. In pratica, gli enti territoriali possono scegliere tra tre opzioni: confermare i quattro scaglioni preesistenti, applicare una aliquota unica oppure articolare le aliquote in base ai tre scaglioni IRPEF oggi vigenti. La norma nasce con un obiettivo dichiarato di semplificazione: se una regione non adotta modifiche entro i termini stabiliti, restano automaticamente in vigore gli scaglioni e le aliquote dell’anno precedente.

Questo meccanismo evita cambiamenti improvvisi nella fiscalità locale e mantiene stabile il metodo di calcolo per i contribuenti. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la scelta tra scaglioni o aliquota unica non riguarda soltanto la progressività fiscale, ma ha ripercussioni dirette su come vengono distribuite le risorse per servizi regionali e su eventuali manovre correttive successive. Lo scenario resta tecnico, ma impatta su situazioni reali: chi vive in una regione che mantiene i quattro scaglioni potrebbe osservare minori variazioni nella trattenuta mensile rispetto a chi risiede in una regione che opta per l’aliquota unica.
Termini, scenari e impatto pratico per contribuenti ed enti
Le disposizioni già introdotte nei provvedimenti precedenti avevano fissato termini differenti per l’approvazione delle leggi regionali: per l’anno d’imposta 2025 era previsto il termine del 15 aprile, mentre per gli anni successivi si indicava il 31 dicembre come termine ordinario. La proroga fino al 2028 mantiene lo stesso principio: se una Regione o una Provincia autonoma non approva una legge modificativa entro il termine stabilito dalla legge statale, l’addizionale regionale si applica automaticamente sulla base degli scaglioni e delle aliquote già vigenti nell’anno precedente a quello di riferimento.
Dal punto di vista pratico, questo approccio consente agli uffici tributi regionali di pianificare con più prevedibilità, ma lascia aperte alcune incognite di bilancio. Le amministrazioni che preferiscono una progressività più marcata potrebbero mantenere il sistema a quattro scaglioni; altre, per semplificare la riscossione, potrebbero scegliere l’aliquota unica. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che la differenza tra questi modelli si traduce spesso in scelte di spesa pubblica locale: servizi sociali, investimenti infrastrutturali, contributi a famiglie e imprese ne risentono.
Infine, la proroga è pensata come misura transitoria in attesa di un più ampio riordino della fiscalità degli enti territoriali. Per i contribuenti resta quindi fondamentale monitorare le decisioni regionali, mentre per gli enti la priorità sarà tradurre le scelte fiscali in programmazione finanziaria sostenibile. Un dettaglio concreto: laddove non si intervenisse, la stabilità normativa garantita dalla proroga evita ritocchi improvvisi nelle trattenute, lasciando però aperto il tema della riforma strutturale a cui la materia è demandata.
