Bioeconomia, la svolta Ue parte da Bruxelles: 2.700 miliardi e 17 milioni di nuovi impieghi

Bioeconomia, la svolta Ue parte da Bruxelles: 2.700 miliardi e 17 milioni di nuovi impieghi

Franco Vallesi

Dicembre 3, 2025

Una stanza stampa a Bruxelles trasformata in vetrina: la commissaria per l’ambiente si presenta con un abito realizzato in fibre di legno, intorno una vasca, un divano e prodotti cosmetici a base di alghe. La scena non è un evento di moda, ma l’apertura di una strategia che vuole rendere la bioeconomia una componente stabile dell’industria europea. Il messaggio è netto: materiali e processi derivati da risorse biologiche non sono più un esercizio teorico, ma una catena produttiva con numeri concreti e impatti sul lavoro.

Bioeconomia: numeri, potenziale e obiettivi

Le cifre comunicate dalla Commissione disegnano un settore che già pesa sull’economia: la bioeconomia europea ha generato circa 2.700 miliardi di euro e impiegato circa 17,1 milioni di persone, una quota significativa dell’occupazione comunitaria. Dietro questi numeri ci sono filiere che spaziano dall’agroalimentare alla chimica, e ogni posto diretto crea più di uno indiretto: è un tessuto produttivo che si estende oltre le fabbriche, coinvolgendo logistica, servizi e ricerca. Un dettaglio che molti sottovalutano è la concentrazione territoriale: alcune regioni del Nord Europa hanno infrastrutture e investimenti più avanzati, mentre aree rurali di Italia e altri Stati devono ancora colmare il divario.

Bioeconomia, la svolta Ue parte da Bruxelles: 2.700 miliardi e 17 milioni di nuovi impieghi
Un trattore raccoglie il grano in un campo, alzando polvere. Un’immagine eloquente dell’agricoltura e del suo potenziale nella bioeconomia. – confcommerciobelluno.it

Per sfruttare il margine di crescita, Bruxelles propone misure vincolanti per aumentare la quota di prodotti bio-based, una alleanza industriale da 10 miliardi entro il 2030 e procedure autorizzative più snelle per le start‑up. L’obiettivo dichiarato è doppio: promuovere competitività e ridurre le emissioni, convertendo parte della domanda che oggi viene soddisfatta da materiali fossili. Lo raccontano le imprese del settore: la domanda esiste, ma i costi e la scala produttiva restano ostacoli. Se la strategia vuole funzionare, servirà collegare le misure regolatorie a incentivi concreti per investimenti e R&S.

Al contempo emerge una spinta a integrare la bioeconomia nelle catene esistenti, non a creare nicchie isolate. Questo approccio punta a rendere i prodotti biobased più accessibili nella vita quotidiana dei cittadini, aumentando offerta e competitività.

Strategie operative: mercati prioritari e incentivi

Il piano individua mercati chiave dove le alternative biologiche sono già mature o in rapida crescita: plastiche bio‑based per imballaggi e componenti auto, fibre tessili rinnovabili, prodotti chimici e fertilizzanti di origine biologica, materiali per l’edilizia e il potenziamento delle bioraffinerie. In questi ambiti le tecnologie esistono, ma la diffusione è frenata da costi unitari, normative complesse e catene di fornitura ancora incomplete. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la variabilità della disponibilità di biomassa per certe produzioni, che richiede pianificazioni logistiche più raffinate.

La strategia punta su tre leve: semplificazione normativa per premiare i modelli circolari, finanziamenti pubblici mirati e stimoli agli investimenti privati. Fra le proposte ci sono un Biotech Act per accelerare autorizzazioni e un forum che metta insieme regolatori e innovatori. L’idea è ridurre i tempi per portare un prodotto dalla ricerca al mercato, alleggerendo l’onere regolatorio per le Pmi senza sacrificare la sicurezza. Anche il tema degli scarti è centrale: residui agricoli e forestali devono diventare risorse, non rifiuti, per alimentare la produzione chimica e industriale.

La Commissione sottolinea che l’Unione è già quasi autosufficiente nel reperimento della biomassa (intorno al 90%), ma il piano mette l’accento sulla diversificazione delle fonti e sulla valorizzazione dei sottoprodotti. Per i consumatori significa, in prospettiva, più opzioni ecosostenibili sugli scaffali e prodotti a prezzi più competitivi.

Sostenibilità, rischi e la corsa alla leadership

Fra le questioni più delicate c’è la sostenibilità d’uso della biomassa. Le bioenergie coprono oltre la metà del consumo di rinnovabili nell’Unione, ma autorità come l’Agenzia europea per l’ambiente hanno segnalato rischi per biodiversità, suoli e capacità di immagazzinare carbonio. La Commissione risponde con condizionalità: gestione della biomassa “entro limiti ecologici”, incentivi per pratiche agricole e forestali che proteggono il suolo e aumentano la rimozione di CO2. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è quanto queste scelte impattino sulle comunità rurali e sulla gestione del territorio.

La circolarità viene posta come principio guida: priorità a riutilizzo e rifiuti organici, uso della biomassa primaria solo dove apporta il maggior valore ambientale ed economico, e preservazione della sicurezza alimentare e dei servizi ecosistemici. Per stimolare domanda e ridurre i costi, la strategia propone una Bio‑based Europe Alliance che coordini acquisti congiunti per 10 miliardi entro il 2030, abbattendo barriere di scala.

Infine, la dimensione geopolitica: l’Unione punta alla leadership nelle tecnologie bio-based per ridurre dipendenze strategiche, con un capitolo dedicato alla bioeconomia blu, che valorizza risorse marine come alghe e sottoprodotti della pesca. Resta da vedere se le promesse si tradurranno in investimenti strutturali e in mercati solidi. In molte regioni europee gli imprenditori osservano con interesse e prudenza: la trasformazione è possibile, ma richiede tempo, infrastrutture e regole chiare per non lasciare indietro territori e filiere.

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